La probabile scelta da parte di Antonio Conte di lasciare Napoli sembra cosa fatta come ci informano quotidiani, televisioni. radio e soprattutto gli esperti di mercato.
Il tecnico salentino ha messo in pratica uno dei detti più antichi del mondo: “Fai quello che dico io, ma non fare quello faccio io”.
Le recenti dichiarazioni di Antonio Conte
Era il 18 aprile quando l’allenatore del Napoli ebbe a dire: “Ho detto che il Napoli non deve essere una squadra di passaggio, invece Kvaratskhelia ha smentito tutto”.
Che labilità, è bastato un transfuga per convincere Conte che a Napoli c’erano altri problemi seri e insormontabili pur vincendo il campionato.
Il tecnico aggiunse infatti: “in questi miei 8 mesi qui mi sono reso conto che qui non si può fare tutto”.
Bisogna partire da queste parole per commentare quella che appare una vera e propria fuga.
Antonio Conte ha accettato Napoli per rilanciarsi, lo ha anche detto pubblicamente la sera dello scudetto, e la città, la società, i giocatori ed i napoletani gli si sono stretti attorno per aiutarlo in questo suo sforzo.
Vincere senza aiutini, vincere senza il blasone che da solo impone rispetto e che spesso condiziona chi è chiamato a decidere è più difficile, è più faticoso, si rischiano le coronarie.
Napoli quindi non è bastata per Antonio Conte. Per lui lo scudetto è un valore in senso assoluto ma l’importanza varia a seconda della latitudine.
Il tecnico vuole tornare laddove è convinto sia la sua casa, infondo bisogna comprenderlo, uno juventino è per sempre.
Antonio Conte è nato e cresciuto anche calcisticamente a Lecce per poi approdare da giocatore alla Juventus del post Boniperti. Anni di vittorie, di strapotere che il giovanotto pugliese ha saputo ripetere, dopo un inizio di carriera in panchina non certo brillante, anche sulla panchina bianconera.
La sua casa non è in Puglia ma a Torino, Napoli è stata solo una necessaria parentesi rivelatasi vincente grazie ad un gruppo di calciatori che lo hanno seguito senza un se ed un ma.
Una piacevole parentesi vincente che però non è bastata a fare di Conte una persona leale verso la città e la società partenopea.
Tre anni di contratto strappati in un secondo con l’avallo di De Laurentiis, pronto a pagare un allenatore come non mai, non hanno creato nessun senso di riconoscenza.
Il presidente, dopo l’esperienza Spalletti, ha ben pensato di evitare proclami bellicosi lasciando briglia sciolta al tecnico senza per una volta fare riferimento ai suoi famosi contratti blindati.
In cuor suo, pensiamo, che De Laurentiis sapesse già che Conte volesse andare via e quindi ha accettato con stile la scelta di un professionista valido, capace ma sicuramente poco leale, poco fedele, poco empatico come lo sono tutti quelli che hanno vestito e si sentono legati a quella orribile maglia juventina.
Conte è uno di quelli che pensano che conta solo vincere, lo ha detto proprio durante la volata scudetto: “chi vince scrive la storia, gli altri la leggono”.
È un pensiero sicuramente condiviso da molti italiani ma non è un pensiero da vero uomo di sport. Lo sport dovrebbe partire da altri presupposti che Antonio Conte dimostra di non conoscere, la sceneggiata di Parma e non solo lo hanno reso ampiamente di pubblico dominio.
In fondo il salentino ha parafrasato quello che diceva uno dei grandi santoni juventini, Giampiero Boniperti: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”, magari il presidente della Juventus, piemontese di Barengo in provincia di Novara, lo diceva con più stile, quello che aveva mutuato per simbiosi dall’avvocato Gianni Agnelli.
In sostanza per Napoli e per i napoletani, qualcuno, dirà ancora una volta, lo fece Corsini a Radio anch’io sport in Rai dopo la fuga di Spalletti e Giuntoli, che queste cose accadono solo a Napoli.
Il giornalista Rai fu ben accompagnato da altri colleghi e commentatori che all’indomani dello scudetto dovevano trovare qualcosa di negativo per sporcare un’impresa sportiva che tale doveva rimanere.
A Napoli accadono molte cose ma restando al mondo del calcio c’è qualcosa che non è mai accaduta: in nessun caso, in nessun campionato il Napoli ha goduto di favori ed ha vinto o si è qualificato per l’Europa per meriti che non siano stati prettamente ed esclusivamente sportivi.
Il presidente federale, Gabriele Gravina, pur se c’è chi dice sia molto amico di De Laurentiis, non ha mai dichiarato che il calcio italiano ha bisogno di Napoli.
Ed ha sbagliato, perché proprio da quando è presidente De Laurentiis il Napoli è l’unica squadra che ha prevalso due volte in campionato con un bilancio in regola, con un pubblico tra i più corretti del panorama del tifo italiano.
Conte ha affiancato queste figure. Ha scelto quella parte di campo dove si fatica di meno, dove in passato si è prevaricato molto.
Che aria tira in casa Juventus?
Oggi però molte cose sembrano cambiate.
Vedremo che mercato saprà imbastire Cristiano Giuntoli, se resterà alla Juventus. Vedremo se tutte le richieste di Antonio Conte verranno esaudite. Certo bisognerà vendere e vendere bene alcuni giocatori che valgono molto ma molto meno della metà del costo pagato e la Juventus dovrà prima pagare le rate dell’acquisizione dei giocatori che sono arrivati la scorsa estate (ca. 70 mln).

Tudor è stato molto chiaro nelle sue dichiarazioni del post Venezia – Juventus
Dovrà anche dare qualche spiegazione a Tudor che ha smentito le parole di Giuntoli alla fine della partita di Venezia.
Il dirigente, che da quando è alla Juventus ha un atteggiamento per così dire filosofico, prima della gara ha dichiarato che Tudor avrebbe guidato la squadra al mondiale per club di giugno.
A fine partita con la qualificazione Champions in cassaforte il tecnico croato ha apertamente detto che andrà ancora in panchina solo dopo un’eventuale conferma.
Agnelli si sarà rivoltato nella tomba al sol pensiero che certi dirigenti parlino per la squadra più amata dagli italiani, per la fidanzata d’Italia.
A Napoli Giuntoli parlava poco per paura che De Laurentiis lo cacciasse forse a Torino dovrebbero farci un pensierino visto che parla per la società mettendola costantemente in difficoltà.
Lo scenario quindi nel quale Conte pensa di poter fungere da salvatore della patria, sono cinque lunghi anni che a Torino non si vince praticamente nulla, è questo.
Uno scenario con una società indebitata sino al collo, con degli azionisti che non intendono finanziare ulteriormente una posizione debitoria spaventosa (ci sono 800 mln di euro di obbligazioni, scadute non rimborsate, rinnovate con un consenso strappato a forza ai soci), c’è un parco giocatori dove spiccano nomi pagati a caro prezzo che oggi la società vorrebbe vendere anche se non hanno mercato, c’è un monte ingaggi che avrebbe creato insolvenza se la società non avesse raggiunto la qualificazione in Champions.
E poi dulcis in fundo c’è un management guidato da John Elkann che ogni giorno che passa fa rimpiangere, ed è quanto dire, la gestione di Andrea Agnelli.
Antonio Conte queste cose le sa bene e vuole riprendersi quello che dal suo punto di vista è suo: quella panchina, quella società per dimostrare che solo lui ha la capacità di riportare il sorriso dove si piange da anni.
Non è stato così al Napoli ed è significativo che all’indomani dello scudetto si parli molto e accoratamente di McTominay, di Lukaku, di Rrahmani e meno di lui.
Il vero capitale di una squadra di calcio sono i giocatori e se De Laurentiis ha veramente intenzione di consolidare uno status, lo vedremo sin da subito, con le prime mosse sul mercato e con la scelta del nuovo allenatore che dovrà essere presa con serenità ma sin da subito senza attendere come accaduto nel dopo scudetto del 2023.
Cosa augurare a Conte?
Nulla. Alla fine sarà stata una meteora transitata per lo splendido cielo azzurro di Napoli. Qualcuno lo ricorderà, ne parlerà ma saranno man mano sempre meno.
Napoli ha solo un mito intoccabile: il grande Diego, quello che scelse la casacca azzurra a quella in bianco e nero.
Quello che seppe ricordare alla gente di Napoli quanto vale, quello che giocava ogni partita con l’infiltrazione perché allo stadio c’erano 80.000 persone che erano corse a vederlo.
Quello che la società non seppe gestire ma che non disse mai una parola contro Napoli e i napoletani.
Quello che di fatto terminò la sua carriera con il Napoli anche se sarebbe potuto andare a giocare ovunque e vincere di più.
Antonio Conte ha avuto un anno sabbatico avrebbe potuto leggere le pagine ricordevoli della storia del calcio, documentarsi. Non lo ha fatto perché non gli interessa, per lui conta solo vincere.
Auguri mister che questo sia l’ultimo scudetto della tua carriera non peraltro ma perché la tua mente lo possa ricordare come il momento più alto della tua carriera, un momento gettato alle ortiche per uno sfizio, per un senso di rivalsa proprio della gente che proviene dalla tua regione.
Napoli è un’altra cosa, forse non l’hai capito.